Un predestinato che ha deluso: Michael Grant.

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Un match chiave per entrambi.

Davvero particolare la storia di Michael Grant, il peso massimo 38enne che domani sera al Prudential Center di Newark nel  New Jersey, contenderà il titolo Internazionale IBF e il WBO NABO, al polacco Tomasz Adamek: un match che raccoglie molta attenzione negli States, puntualmente ripreso e proposto sul circuito in pay-per-view che lo trasmetterà in diretta. Riguardando i suoi passi nella boxe, si fatica a vederlo come un combattente certo in ascesa, ma da concepire come probabile perdente ad una età che, per chi scrive, dovrebbe far pensare al ritiro e alla palestra in ben altre vesti.Manifesto_Grant

Grant è stato vicino a tutto: ai titoli che fanno storia, a quella gloria che traduce compiutamente una devastante potenza fisica, alla leggenda che si cementa con le dichiarazioni degli sconfitti, con le considerazione di famosi allenatori e con la spettacolarità delle proprie vittorie.

Un fisico monumentale, muscoloso e armonioso, uno dei più impressionanti visti sul circuito della grande boxe. Il compianto Bill Cayton, famoso come co-manager di Mike Tyson, vedeva in Grant un enorme potenziale, quando questi, poco più che ragazzino, era la stella del suo liceo sportivo, imperversando per distinzioni e traduzioni, nel football, nel baseball e nel basket. Cayton dichiarò al New York Times, che aveva investito centinaia di migliaia di dollari su Grant, ma ci fu un allontanamento di cui non riusciva a darsi pace. Resta il fatto che il ragazzone, nato a Chicago e poi trasferitosi a Blue Bell in Pennsylvania, giunse a superare i 2 metri e portò nel pugilato tutto il suo ardore, nonché quella potenza che sembrava annichilire ogni velleità degli avversari.

Il 7 novembre 1997, dopo 25 vittorie consecutive, di cui 18 per KO, il gigantesco Michael, all’Hotel Bally’s di Las Vegas, stese definitivamente alla prima ripresa, dopo averlo malmenato come fosse un manichino, l’enorme, esperto nonché emergente cubano Jorge Luis Gonzalez, conquistando il titolo IBC dei massimi. Dopo quel match, Luis De Cubas, il manager di Gonzales, dichiarò che il suo pugile gli aveva confidato che non aveva mai incontrato nessuno con una simile potenza. Su Grant iniziarono a spendersi valutazioni che lo lanciavano verso vertici storici e che poterono ulteriormente cementarsi sull’efficace prosieguo del pugile dopo Gonzales, almeno fino al match con un polacco, tanto forte quanto scorretto e smaliziato, come Andrew Golota.

Sul ring di Atlantic City, il 20 novembre 1999, vennero purtroppo a galla le pecche del colosso della Pennsylvania, fino a quel momento nascoste dalla sua esuberante potenza. Alla prima ripresa, su un destro non forte, ma preciso di Golota, Grant dimostrò la sua poca capacità di difendersi e di assorbire i colpi, andando al tappeto. Si rialzò con fatica e nel prosieguo, proprio al suono del gong finì nuovamente a terra. Il riposo lo salvò dal baratro e, stringendo i denti, finì per vincere alla 10a ripresa, costringendo il polacco all’abbandono. Golota, che in precedenza era stato squalificato due volte al cospetto di Riddick Bowe, quando si trovava in vantaggio e che aveva subito una fulminante lezione alla prima ripresa da Lennox Lewis, aldilà del banco di prova che si dimostrò per le debolezze del colosso, finì comunque per spingere costui al match mondiale, proprio al cospetto del formidabile britannico. Forse, per Grant, era il caso di aspettare ancora, ma non fu così e quell’incontro, sul tempio del Madison Square Garden di New York, il 29 aprile 2000, si fece. Furono due riprese al fulmicotone, intense, dove la superiorità di Lewis si esaltò, ma pure la potenza di Grant ebbe modo di emergere un poco. Il pugile della Pennsylvania però, non assorbiva  e fu presto contato, indi salvato dal gong, ma nella seconda ripresa un montante destro del britannico chiuse il match.

Il ridimensionamento di Michael, subì poi il colpo definitivo un anno e tre mesi dopo (periodo nel quale non salì sul ring), al cospetto di Jameel McCline, quando cadde al tappeto al primo non certo trascendentale pugno dell’incontro. Rialzatosi con la caviglia destra non a posto, apparve claudicante al punto di dichiarare all’arbitro di non poter proseguire per sospetta frattura dell’arto, cosa che poi si dimostrò tale. Che match sia stato quello, lo lasciamo a chi si diverte nell’arte dei sospetti: resta il fatto, che la fragilità di Grant, lasciò ancora una volta a bocca aperta.

Michael cambiò allenatore, ed inanellò dopo McCline una striscia di sette vittorie prima del limite, ma nel giugno del 2003, una nuova sconfitta al 7° round, contro Dominick Guinn, parve mettere fine alla sua carriera di vertice.

Non è stato così, perché in sette anni ha messo in cassaforte otto vittoriosi incontri, ed ha ora la possibilità, più di due lustri dopo Andrew Golota, contro un altro  polacco come Tomasz Adamek, di ritornare, vincendo, ad un match mondiale.

I tempi però sono cambiati, ed anche se oggi il panorama dei massimi esalta davvero poco chi scrive, il colosso Grant non salirà sul ring da favorito come contro Golota, bensì da predestinato ad una sconfitta, probabilmente rapida come i suoi tristi precedenti insegnano. Ma la speranza che un rivolo di quei massimi che non ci sono più faccia capolino, chi scrive, se la tiene.

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