Un po’ di storia e l’incredibile coincidenza col 1969, nel duals match Italia-Russia

Questa sera al Palalido di Milano, la Nazionali italiana e quella russa, si confronteranno nel loro primo dual match ufficiale. In passato i confronti erano a livello di club, almeno da parte degli ospiti. L’evento rientra nel programma di avvicinamento ai mondiali AIBA, che il LOC, il Comitato coordinato da Andrea Locatelli e Paolo Taveggia, allestirà nel prossimo settembre. All’insegna del doppio confronto, questo è il terzo, preceduto da Cina e Brasile. In attesa di Cuba, Usa e Germania.
L’attuale confronto è decisamente storico. Crea un precedente, nonostante entrambe le nazioni abbiano un passato di antica memoria. La nazionale italiana debuttò nel 1923 sul ring di Parigi, perdendo 5-3 contro i transalpini. L’anno dopo contro la stessa Francia finì 4-4 a Milano. L’elemento migliore degli azzurri era il mosca Lanzi che, guarda caso, aveva appreso la boxe oltr’Alpe. A Milano avvenne il medio civitavecchiese Carlo Saraudi, padre di Vittorio e Giulio. Il primo colse il bronzo ai Giochi di Roma nel ’60, il secondo fu buon professionista. I campionati delle Repubbliche Sovietiche datano dal 1926, lo stesso anno in cui nasceva la Federazione Pugilistica dell’URSS. Un censimento svolto nel 1933, quantificava ad oltre 30.000 i giovani che si dedicavano al pugilato. Ma fino al 1937, pur mantenendo  all’interno del territorio una costante attività agonistica, la Federazione non si confrontò mai fuori dai confini. Il debutto ufficiale oltre la linea interna, nel 1937, in occasione delle Olimpiadi dei lavoratori tenutesi ad Anversa. Bilancio di due vittorie importanti col mediomassimo Viktor Mihalic e col massimo Nikolaj Koroljov, un gigante vicino ai due metri. Seguirono altre trasferte, tutte orientate su manifestazioni correlate ad iniziative socialiste. Nel ’45 a guerra conclusa, il Comitato Olimpico dell’URSS, decise di portare anche la squadra di boxe ai Giochi di Londra. I dirigenti ritenevano che in tre anni avrebbero potuto preparare al meglio la squadra. Nel ’46 una formazione sperimentale, che avrebbe dovuto rappresentare l’ossatura per i Giochi, si presentò al Campionato dei Popoli Sloveni allestito a Varsavia. Non vinsero nulla, mostrando solo buona volontà ma poca base tecnica e mancanza di acume tattico. Per migliorare allestirono un campo di allenamento a Mosca, convocando i migliori per un lungo stage sotto la guida dei migliori tecnici locali. Pochi mesi prima dei Giochi, fecero la prova generale al torneo di Budapest, ma fu un vero fiasco. I padroni di casa maramaldeggiarono, mentre la squadra russa risultò troppo modesta per covare sogni di gloria. Giocoforza prendere l’amara decisione di rinunciare ai Giochi di Londra. Rinviando il debutto a Helsinki nel 1952. Cambiarono sistema, nel 1950 affidarono la responsabilità tecnica a Viktor Ogurenkov, un buon passato sul ring, successivamente maestro nella Dinamo di Mosca. La scelta risultò indovinata e durò fino al 1968. Diciotto stagioni ricche di soddisfazioni e medaglie. Le prime già ad Helsinki, argento col superleggero Viktor Mednov battuto in finale da Charles Adkins (USA) e Schtsherbakov nei welter, bronzo da Bulakov (mosca), Garbuzov (gallo), Tishin (superwelter) e Perov (mediomassimi). Quattro anni dopo nel 1956 a Melbourne la macchina sovietica in guantoni fece capire che sul ring da quel momento avrebbero dovuto fare i conti con loro. Tre ori con Safronov (piuma), Engiberian (leggeri) che battè il nostro Nenci in finale e Schatkov (medi), un argento col massimo Mukhin che in semifinale superò Mino Bozzano. Per concludere con Lagetko (leggeri) al bronzo. Il resto è nel bilancio globale, che vede nel medagliere assoluto dei Giochi, gli USA in testa con 48 ori, 23 argenti e 30 bronzi, mentre la Russia ex Urss con 22 ori,altrettanti argenti e 27 bronzi per un totale di 91 podi, ha meno ori di Cuba, avanti con 32 vittorie – a Pechino per la prima volta nella sua storia a secco, salvo l’edizione di Los Angeles ’84, assente – ma soli 19 argenti e 12 bronzi, ferma a quota 63 medaglie. Orgogliosamente quarta l’Italia (15-13-16) davanti agli inglesi (14-11-23).
La storia della grande boxe continua con un capitolo importante questa sera e un grande bis domenica a Garlasco nel Pavese. Nelle due occasioni, all’angolo della Russia ci sarà il tecnico Nikolay Khromov mentre dalla parte opposta, quella degli azzurri, il coach Francesco Damiani, sarà affiancato da Raffaele Bergamasco
Ed ecco la curiosità che si lega all’evento odierno. Nel 1969, quarant’anni addietro, l’URSS: Unione Repubbliche Socialiste Sovietiche contava su un esercito di pugili superiore alle 300.000 unità. Attività frenetica. In quel furore agonistico, l’attuale responsabile tecnico della Russia, Nikolay Khromov era un peso leggero di 22 anni molto promettente, nato a Kaluga non lontano da Mosca, studente a Tashkent nell’Uzbekistan, alla scuola superiore, equivalente alla nostra università, per apprendere le scienze motorie. Un territorio dove la boxe aveva molti praticanti. Infatti, venne selezionato a rappresentare la Repubblica uzbeka nel “Soviet Union Team Championships” torneo itinerante tra le squadre delle repubbliche più forti dell’URSS. Il giovanotto se la cavò bene anche se a vincere fu la Russia che battè l’Ucraina dopo un testa a testa equilibratissimo: 12-10.
Nikolay prese parte anche ai campionati nazionali che si svolsero in due fasi, la prima a Kazan, la parte conclusiva a Saratov. Non riuscì a cogliere il podio, ma per i tecnici meritava un riconoscimento, vista la buona prova offerta. Inserito nella formazione chiamata alla trasferta negli USA, programmata nell’ottobre di quell’anno. Il primo scontro a Las Vegas, la mirabolante capitale del gioco d’azzardo nel Nevada. L’URSS la spuntò 12-10, ma Khromov venne battuto dal pimpante Juan Ruiz, oriundo messicano dalla velocità notevole. Qualche giorno dopo a Montreal in Canada, la squadra sovietica passò come un caterpillar sulla mista USA-Canada. Una sola sconfitta, purtroppo quella subita da Khromov, superato dal locale Michel Briere, per una malaugurata ferita. Trasferta poco fortunata, ugualmente utile esperienza per Nikolay che l’anno dopo vinse il titolo nazionale e si ripetè nel 1971, concludendo purtroppo col terzo posto nel ’72 a Mosca, perdendo così il treno per i Giochi di Monaco. Un quadriennio importante per Nikolay, che dopo quel podio lasciò la boxe attiva per iniziare la carriera di tecnico.
In quel 1969, anche la nazionale azzurra  giunse in America, per il doppio confronto con USA e Canada. A New York il 29 settembre 1969, contro la possente nazionale statunitense, fu battaglia intensa. Gli azzurri fecero impazzire la folla degli italo americani accorsi al Madison, conquistando un successo storico per 12-10, con prove superlative dei nostri Udella, Grasso (miglior pugile del confronto), Onori, Capretti, Riga ed Ernesto Bergamasco che battè proprio Juan Ruiz dopo una battaglia intensa. Il 6 ottobre l’Italia combatte a Toronto contro il Canada. Trionfo totale: 22-0, gloria per tutti i nostri. Grasso, Fabbri, Vezzoli, Capretti, Riga, Facchetti, Cipriani, Della Rosa, Facchinetti e Scala non fanno sconti. Vince e non poteva essere diversamente pure Ernesto Bergamasco che sale nei superleggeri, a spese di quel Michel Briere che si era imposto su Khromov. Diciamo che l’italiano aveva vendicato il collega russo.
La curiosità è però doppia. A distanza di 40 anni, si ritrovano sia pure indirettamente ancora di fronte, russo e italiano, agli angoli opposti. Nell’equipe dei tecnici azzurri figura infatti Raffaele Bergamasco, figlio d’arte di Ernesto. Ottima carriera nei dilettanti, incorniciata dai titoli tricolori, ben cinque, spaziando dai superwelter ai mediomassimi tra l’’89 (a 17 anni) e il ’99. Oltre al bronzo agli europei jr. nell’88, argento ai mondiali nel ’95, nei medi, oro ai Giochi del Mediterraneo nel ’97, in carriera ha affrontato tre volte Lebziak, vincitore ad Atlanta nel ’96. Imperdibile la battuta di Raffaele sul valore del russo: “Colpirlo era come portar via il pallone a Maradona”. Un record di 180 incontri, con oltre 150 vittorie. Nato a Torre Annunziata nel ’72. allievo della Vesuviana sotto la guida del grande Lucio Zurlo, passato alle FFOO, ha preso parte ai campionati europei jr. e a diversi tornei internazionali, per anni punto fermo in Nazionale. Ottimo tecnico con grande intelligenza tattica. Dal 2001 ha intrapreso la strada dell’insegnamento, dimostrando capacità notevoli, privilegiando il rapporto umano per capire e tirare fuori il meglio da ogni atleta. Sotto il coordinamento di Francesco Damiani il coach leader dello staff, sta crescendo al meglio. Responsabile del settore femminile, Bergamasco potrebbe essere il primo tecnico italiano a guidare la squadra azzurro-rosa ai Giochi di Londra. Orgoglio di papà Ernesto che non ha dimenticato quel trionfo americano. E saluta Nikolay.

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