Enrico Oldani, atleta e dirigente, bandiera lombarda della boxe ci ha lasciato

 

E’ stato un ko indolore quello subito da Enrico Oldani, figura di grande spicco nel boxing lombardo da mezzo secolo. Presidente dell’Unione Sportiva Lombarda dai primi anni sessanta, non aveva mai perso i contati con la società che per molti anni è stata un riferimento regionale e nazionale.

 Elencare i pugili che questo “santuario” della noble art aveva sfornato, sarebbe come trascrivere un piccolo elenco telefonico. L’Enrico era il classico gigante buono, buon dilettante non aveva preso in considerazione il professionismo, dovendo dare la precedenza all’azienda che stava facendo crescere. Disponibile e informatissimo, ma anche dirigente inflessibile, come dimostrò nel periodo non facile, per le precedenti gestioni, allorchè svolse il compito di presidente del Comitato Regionale Lombardo.

La boxe faceva parte integrante della sua vita. Famiglia, lavoro e guantoni. Amava la buona tavola, conversatore acuto e ironico, infiorettava i discorsi col dialetto milanese, dal quale sapeva estrarre citazioni e frasi ad effetto.

Dicevamo un ko indolore. Enrico Oldani ci ha lasciati nella notte di sabato, passando dal sonno terreno a quello eterno, in un silenzio assoluto, senza disturbare nessuno. Aveva 74 anni, ne dimostrava parecchi meno, e pur condividendo le giornate con varie pillole colorate, in particolare per il diabete che lo accompagnava da lungo tempo, era ancora una brillante forchetta.

In occasione del recente ritorno a Milano di Lorenzo Zanon, uno dei gioielli targati USL, assieme a Carmelo Bossi e Matteo Salvemini per citare soli i tre di vertice, nella serata al ristorante era parso in ottima forma, tenendo botta con l’amico di sempre Bagnoli, in una gara di ricordi e sfottò, che avevano divertito la vasta platea di commensali. L’ex campione europeo dei massimi, lo aveva invitato nella sua “farm” formato tascabile che ha messo a Granja Zama, non troppo lontana da Natal, il capoluogo della regione nord brasiliana. Enrico si era defilato elegantemente, preferendo la sua terra lombarda.

Venerdì scorso, avevamo parlato al telefono della grande serata di Voghera: “Mi sono emozionato ascoltando l’inno di Mameli e il Va Pensiero. Gli organizzatori sono stati davvero bravi. Giovanni lo meritava, povero figlio, è andato via davvero troppo presto. Ho fatto l’abbonamento per tutti i mondiali, così arrivo alla finale avendo assicurato il posto che voglio”.

Una lunga chiacchierata, dal verdetto contro Domenico Spada a quelli dei dilettanti con gli USA, dei vuoti troppo lunghi che soffre Milano con la boxe professionistica. Aveva il rimpianto dei viaggi compiuti tra Sanremo e Montecarlo per vedere Benvenuti, Bossi, Duran ma anche Hagler e Monzon, Antuofermo e tanti altri che mister Rodolfo Sabbatini faceva combattere dalle nostre parti.

Buonista per natura, sapeva stemperare gli acuti nelle discussioni, difensore strenuo dei maestri e sotto la sua presidenza ne sono passati parecchi. Su tutti Luigi Casati, che insegnava a Seregno, mentre Combi gestiva la palestra milanese. Altri tempi, si dirà ed è vero. Ma è anche vero che erano esempi che nella loro semplicità lasciavano il segno. Casati era un perfezionista incontentabile. I suoi ragazzi debuttavano solo se avevano nella testa e nei guantoni i fondamentali. Il figlio Mario che raggiunse il titolo europeo nel 1967 a Roma, fu uno dei suoi capolavori, ma non certo l’unico. Luigi era uno che diceva pane al pane e metteva anche il companatico in aggiunta. Non era tipo diplomatico, insomma. Unica eccezione, il suo presidente. Quello che diceva l’Enrico era sempre degno di ascolto e rispetto.

Combi era più ruspante, anche lui aveva portato il figlio, peso massimo, al titolo lombardo, curava i ragazzi con amore infinito. Quando mancava qualcuno per troppe sere, inforcava la bici e andava a casa a trovarlo per capire i motivi dell’assenza. Con l’assenso del presidente.

Negrini, uno dei più piacevoli dilettanti degli anni ’80, vincitore di tornei importanti come il “Guanto d’Oro Storace” che a quei tempi valeva un campionato italiano, non è riuscito a trattenere le lacrime quando ha saputo la notizia. Anche il “duro” Satalino si capiva che era sull’orlo del pianto. Tutti gli amici e sono tanti, hanno di Oldani un ricordo fantastico. Il suo ko indolore è stato micidiale per chi lo conosceva. Increduli che fosse accaduto uno scherzo così brutale.

La figlia Maria Teresa si è raccomandata che la foto su Mondoboxe fosse carina: “Mio papà era bello, non me lo invecchiate troppo”. La moglie signora Gina, ha saputo del dramma dopo. Si trovava in vacanza nel suo Veneto e la notizia l’ha trafitta come una pugnalata vigliacca. Una vita accanto a “quell’uomo che prima vede la boxe e poi la moglie”, ma era una battuta d’affetto. Un modo per dirgli “ti amo”.

Cara Gina, adesso siamo davvero più soli. Tutti, perché, questa sembra la stagione degli addii infiniti. Maledetta e crudele, senza che ci sia la possibilità di svegliarsi e dire che non era vero. Il sogno era una realtà dura come l’acciaio e pesante come il cemento. Per tutti.

Ciao Enrico.
 
 

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