Giovanni Parisi, una vita indimenticabile che resterà nel cuore di tutti
{joomplu:2974 left}Il lunghissimo applauso che ha accompagnato le parole del sindaco di Voghera, Aurelio Torriani, nel dedicare a Giovanni Parisi, lo stadio cittadino, la struttura più importante della città, era il punto esclamativo, una fiamma intensa destinata a restare sempre accesa nel cuore di tutti coloro che amano lo sport.
La sia pur breve vita di Giovanni è stata così intensa che nulla potrebbe farla dimenticare. Il “Tribute to Giovanni Parisi” che ha concluso i dual match della nazionale azzurra, nella sua Voghera, specchiava la sua filosofia di campione che ha sempre rappresentato la parte sana dello sport e del quale non poteva farne a meno.
In questa atmosfera magica, sul grande schermo che giganteggiava davanti alle tribune sono passati i momenti più significativi della carriera di Parisi, e negli occhi delle oltre 4000 spettatori, il recente passato è diventato presente assoluto.
La sera del 25 marzo scorso, un mercoledì, Giovanni Parisi era andato, come faceva solitamente, in palestra, nella “sua” Associazione Boxe di Voghera, dove il maestro Livio Lucarno dirige il traffico dagli anni ’70. L’allievo più illustre gli era stato sempre fedelissimo, mai un momento di incertezza, veramente straordinario per un tipo come Giovanni che in fatto di procuratori e preparatori non ha certo badato a
Anche quella sera uscendo dalla palestra il saluto e la battuta ironica: “Ciao ragazzi,
ci vediamo domani e l’ultimo spenga le luci…”. L’ultima sua frase, a soli 42 anni. Pochi minuti dopo la sua BMW M6 che aveva imboccato la tangenziale lungo Oriolo e Medassino di Voghera verso casa, finiva la corsa urtando un camioncino con esito letale per il campione del ring. Una tragedia troppo crudele per trovarne una ragione. Il silenzio dopo lo schianto era il tumulto dei sentimenti che rifiutavano di credere che tutto ciò fosse vero. Il destino è una bizzaria incontrollabile, un gioco senz’anima.
Il rifiuto umano a certe violenze, è quello di mantenere vivo il ricordo di chi è scomparso. Per l’uomo di sport la logica è di eternarne le imprese. Lo abbiamo fatto percorrendo la sua storia attraverso le sue frasi più significative, nel corso di una carriera iniziata prestissimo, come ci ricorda il maestro Lucarno.
Era il 1980, quando Giovanni entrò per la prima volta nel gym. Aveva 13 anni, la passione per il calcio ma pure la voglia di essere protagonista assoluto e il pallone era un gioco di squadra, il che non andava d’accordo col suo punto di vista. “Giovanni debuttò a Trezzano nel 1981, perdendo per abbandono, dopo aver dominato nelle prime due riprese. Si arrabbiò moltissimo, perché pensava che poteva riprovare subito a prendersi la rivincita”. Sono le parole di Livio Lucarno, rilasciate alla Gazzetta dello Sport dopo il trionfo di Parisi ai Giochi di Seul ’88.
Da quel momento Parisi non ha mai perduto il ruolo di protagonista.
Lungo la strada che lo porta all’oro, Parisi si esprime con la solita schiettezza. In semifinale batte il marocchino Abdelhak Achik, che vantava un successo su Giovanni e dice a Fausto Narducci:
“Ero salito sul ring tranquillo, sicuro di me stesso, mentre lui appariva intimorito nonostante avesse vinto il precedente confronto diretto. Il gancio sinistro lo ha sentito parecchio, e il dolore accusato era una scusa per non farsi più male”.
Non risparmia neppure il suo punto di vista, alla domanda insidiosa del cronista che chiede: La finale dei piuma, da ragione a Falcinelli? “Avrei fatto bella figura anche nei leggeri. Ho affrontato molti sacrifici, per la fame quasi non ho dormito alla vigilia del match”.
Sempre dalla Corea del Sud, Dario Torromeo inviato per il Corriere dello Sport, come al solito cerca di scavare a fondo. Scopre che ad ogni incontro ha cambiato pantaloncini, che porta il codino come Hector Camacho, che ha lasciato il lavoro di fabbricatore di pietre per bilance elettroniche per fare solo il pugile. Più forte della frattura al secondo metacarpo della mano sinistra e un’operazione sbagliata, era il novembre del 1987, che ha rischiato a fargli saltare l’appuntamento olimpico:
“Ringrazio il dottor Cecconi che mi ha ricostruito la mano e i dottori Rondoni e Milia per la dieta che mi hanno imposto”. Parla del suo carattere, delle preferenze di vita, dei primi passi che aveva ricordato il maestro Lucarno: “Sono un solitario, la confusione mi da fastidio. Vorrei vivere in un piccolo paesino. Per socializzare ha anche giocato a scacchi verso gli otto anni, vincendo molte gare e qualche coppa. Poi ho scoperto il calcio che ho praticato fino a 17 anni. Giocavo da libero, ma negli ultimi tempi gli allenatori chiedevano l’impegno a tempo pieno e la boxe mi piaceva di più. Anche se avevo perso al debutto contro Riva nei minimosca. Soffrivo di acidità, la tensione dell’incontro aumentava il problema. Sono andato avanti per 40 incontri. Poi il dottor Mario Sturla mi ha dato la cura giusta. Sono guarito mangiando cracker prima del match”.
In quel frangente intervenne Franco Falcinelli che era il ct degli azzurri: “Il momento più difficile della preparazione fu quando arrivò a 58 kg. e non riusciva a levarsi l’ultimo chilo. Fatemi fare il superleggero, urlò e andò via. Un cavallo di razza con le impennate. Va lasciato fare. Provate un po’ a chiedergli da fare le ripetute in pista. Vi risponderà insultandovi”.
Si scopre anche una superstizione: “I gatti mi portano male. Per fortuna che qui a Seul li mangiano”.
La finale è un trionfo. Batte il romeno Daniel Dumitrescu, figlio d’arte, il padre Mircea fu sconfitto dal livornese Nenci in semifinale ai Giochi di Melburne nel 1956. La storia si ripete: l’italiano centra con un velocissimo e preciso gancio sinistro che trova la mascella del danubiano che finisce al tappeto, cerca di rialzarsi ma è malfermo sulle gambe e l’arbitro decreta il ko. Sono trascorsi 101” dall’inizio del primo round. “Pensavo potesse rialzarsi – dirà nella prima intervista dopo il successo – ma speravo non lo facesse. Per il suo bene”.
Dopo la vittoria, un pianto dirotto liberatorio: “Ho realizzato il mio sogno che non era quello di vincere l’oro, ma di poterlo prendere per dedicarlo a mia madre Carmela. La medaglia è sua”.
C’è anche un episodio emblematico del clima di Seul. Giovanni entra in sala stampa, un addetto coreano gli offre un bicchiere d’acqua e si sente un voce, quella del dottor Rondoni che urla: “Non bere niente se non te la diamo noi”. Parisi obbedisce, deve fare ancora l’antidoping
Con Vincenzo Martucci, inviato a Seul, confida il passato e il futuro, dopo il trionfo olimpico: “Forse avrei preso una cattiva strada, quando andavo a scuola ero terribile, ne combinavo di tutti i colori. Fortuna che trovai una persona, l’insegnante Alida Stringa che ora è diventata mia amica. Gli altri insegnanti volevano bocciarmi, lei ha lottato per me, perché era sicura che nella vita avrei combinato qualcosa di buono. Gli altri dicevano se sarei diventato un drogato o chissà che. Aveva ragione lei. Molto mi ha aiutato il pugilato, perché quelle 3-4 ore le passavo in palestra. Così non sono finito sulla strada e nel contempo sono cresciuto, ho imparato a muovermi da solo, nel mondo. A dialogare con la gente, a domare il mio carattere scontroso”.
A Seul è presente Angelo Dundee, manager di Alì e Leonard, che pronostica a Giovanni una grande carriera: “Con la potenza che si ritrova avrà un ottimo futuro nei professionisti. In America avrebbe guadagnato almeno 200.000 dollari fin dal primo anno”.
Parisi concorda ma…”Con i guanti da sei once farò ancora più male. Passerò tra i superpiuma, non voglio avere più incubi per il peso”.
Debutta al professionismo il 15 febbraio 1989 a Vibo Valentia, la sua città natale, che aveva lasciato ad un anno, trasferendosi a Voghera. Vince per ko al terzo round contro Kenny Brown, americano dell’Indiana senza pretese. Neppure tre anni dopo arriva al mondiale. Nessun vincitore dell’oro olimpico è stato tanto rapido a battersi è per una cintura iridata da “prize-fighter”. Benvenuti, Oliva e Maurizio Stecca hanno impiegato più tempo per arrivare al vertice.
L’avversario è un messicano dai pugni pesantissimi. Si chiama Javier Altamirano ha un record di 36 vittorie con 32 ko, 3 sconfitte e altrettanti pareggi. Giovanni 21 successi e una sconfitta. In palio la vacante cintura WBO leggeri.
Il match si svolge a Voghera il 25 settembre 1992.
La vigilia non manca delle solite dichiarazioni. Parisi promette di vincere prima del limite, unendo fiducia e ironia: “Lui è più alto di me, quindi impiegherà più tempo ad andare giù. Sarò molto aggressivo, ma in modo lucido. Gli imporrò un ritmo per lui proibitivo”. Sul fronte di Altamirano c’è totale fiducia: “Ho il 100% di probabilità di vittoria, Parisi è senza scampo”.
Il match ha luogo all’interno dello stadio di Voghera, dove la domenica gioca la squadra di calcio e dista a mezzo km,. dalla casa di Giovanni. Sui pantaloncini gialli dell’italiano una scritta “Seul-Carmela 88”, per ricordare il momento più bello e quello più triste.
L’incontro va oltre le attese per la drammaticità. Parisi finisce due volte al tappeto nel round iniziale, sembra tutto perduto. I colpi di Altamirano sono pietre. Ma Giovanni ha dentro qualcosa di indistruttibile. Round dopo round risorge dal tunnel, ricuce i fili di un discorso tecnico e al decimo round la situazione si capovolge. Il messicano è colpito da un destro che non perdona. Altamirano frana al tappeto senza appello. Un colpo terribile, tanto che il messicano finisce all’ospedale per accertamenti.
Emblematica la dichiarazione del dopo match: “Spero con la mia vittoria di aver dato credibilità alla boxe italiana”. La stampa italiana si entusiasma. Il Corriere dello Sport titola “Parisi, “Flash” accecante”, per la Gazzetta “Parisi, il mondiale vale doppio”, Tuttosport “Parisi: non sarò re di una notte”, Il Messaggero: “Parisi, pugni di alta qualità”, Il Giornale: La rivoluzione di Parisi, italiano col pugno da ko. Il Giorno: Parisi, un capolavoro mondiale a forza di ganci.
Il match, trasmesso in TV tocca picchi eccezionali: quasi 3 milioni di spettatori, Gli elogi si sprecano. C’è anche una dichiarazione di Duilio Loi, sempre parco di elogi. Per Parisi fa l’eccezione: “Era da quattro anni che non assistevo di persona ad una riunione. Non c’era ragione, data la qualità della situazione attuale. Parisi mi ha riportato indietro nel tempo. Ho visto un match che appartiene alla boxe vera, alla mia boxe. Giovanni è un campione destinato a crescere parecchio. Abbiamo un personaggio su cui puntare”.
Parisi spiega con lucidità ogni momento della battaglia: “All’inizio ho pagato l’emozione di combattere davanti al mio pubblico, ma non ho mai pensato fosse finita. Ho tranquillizzato l’angolo e ho cominciato il secondo round come se il match cominciasse in quel momento. Questo Altamirano faceva male, molto diverso da quello visto nei filmati. Inoltre ha incassato l’inimmaginabile. Mi sono fatto male alle mani a forza di colpire. Poi al decimo è arrivato il destro giusto”.
Riccardo Signori nel suo commento lo indica come il Sugar Leonard italian style: “Parisi ha mostrato una boxe nuova, spavalda capace di dare spettacolo. Non solo, dopo l’incontro si è presentato ai giornalisti come un damerino: smoking e papillon grigio”.
Due difese (l’inglese Michael Ayers, il portoricano Antonio Rivera), il tentativo di conquistare la cintura WBC dei superleggeri. Ci prova contro il mitico Julio Cesar Chavez a Las Vegas l’8 aprile 1995, dopo aver combattuto nella capitale del gioco d’azzardo tre volte, battendo Mike Bryan, Richie Hess e il quotato Freddie Pendleton. Vince Chavez, per Giovanni una sconfitta più che onorevole.
La seconda cintura la conquista il 9 marzo 1996, al Palalido, sempre per la WBO tra i superleggeri. L’avversario è il portoricano Sammy Fuentes, Giovanni ha cambiato completamente lo staff, salvo il maestro di sempre, Livio Lucarno. Andrea Locatelli si affianca ad Elio Cotena e Salvatore Cherchi che gestisce l’attività del campione.
La Gazzetta dello Sport festeggia il Centenario col direttore Candido Cannavò che adotta Giovanni Parisi e patrocina gli eventi dove il pugile di Voghera combatte. Non solo, vengono invitati tutti i campioni del mondo italiani. Arrivano in 18 su 21, una rassegna mai più ripetuta, Sono presenti D’Agata, Loi, Mazzinghi, Burruni, Benvenuti, Lopopolo, Arcari, Bossi, Udella, Mattioli, Antuofermo, Maurizio Stecca, Oliva, Kalambay, Damiani, Duran e Galvano. Mancano solo Rosi e Loris Stecca per lavoro, Nati impegnato a Cuba con la nazionale jr.
Una rimpatriata senza precedenti e finora senza un bis. In questo clima si svolge la sfida per la conquista del secondo mondiale. A fotografare la situazione è il suo medico di fiducia, il professor Mario Sturla. “E’ al top, ha fatto tutti i test e i risultati sono di altissimo valore. Va i acidosi solo dopo ore di allenamento. Con l’equipe dei medici abbiamo fatto un nuovo esperimento. In una stanza vuota abbiamo messo paletti a distanza di un metro con fonti luminose che si accendevano senza preavviso. Giovanni doveva muoversi appena percepiva la luce. Ha mostrato tempi di reazione da F1”.
Batte l’ostico Fuentes che sembrava fatto di cemento, tanto incassavae e replicava, ma all’ottavo tempo la conclusione. Fausto Narducci racconta così l’epilogo, che definisce… “grandioso e forse inatteso con tanto anticipo. Lo stile è quello del vecchio Parisi, che colpisce con la velocità di un flash fotografico. Fuentes veniva colpito da un gancio destro che accusava vistosamente. Tentava di continuare ma veniva fulminato da un altro gancio e poi da una scarica. L’arbitro Caiz faceva bene a fermarlo. Il portoricano tornava all’angolo completamente groggy. E’ vero, la grande boxe è tornata”. Il titolo a tutta pagina della rosea: Fantastico Parisi, il mondo è tuo.
La prima difesa da scintille. Lo sfidante è un messicano che ha già detenuto lo scettro WBO nel ’92-93. Si chiama Carlos “Bollilo” Gonzales, ha 24 anni un record da brividi: 82 vittorie e solo 2 sconfitte da dilettante, 45 da professionista con 40 ko, due sconfitte. La sua borsa è di 75 miloni, contro i 185 del campione. Di poche parole, famiglia povera, 10 fratelli e subito al lavoro aiuto panettiere. La boxe sulla scia del fratello Reyes. Mantiene tutte le promesse sul ring del Palaforum, presenti gli azzurri che andranno ai Giochi di Atlanta guidati da Patrizio Oliva e gli ori d’Olimpia italiani. E’ Candido Cannavò a premiarli, prima della partenza.
Il match è un po’ la fotocopia di quello con Altamirano. Giovanni finisce al tappeto nella prima e seconda ripresa, sui destri velenosi di un Gonzales che sembra un giustiziere implacabile. Dopo sei minuti il campione è sotto di quattro punti. Poi il miracolo che dura per tutto il match. I giudici sono divisi, Ledermann (Usa 114-113 x Gonzalez), Garcia (Usa114-112 x Parisi), Barkenon (R. Dom. 114-114) parità perfetta.
Il commento del campione riconfermato scritto su Tuttosport: “Pensavo di aver vinto, in fondo ho concesso solo tre round all’avversario. Poi ho cominciato a fare le cose giuste. Gli atterramenti? Quando sento la responsabilità e non tutto fila come vorrei, scatta la tensione che mi blocca e condiziona. Prima del confronto ho fatto training per mezz’ora, salendo sul ring grondante di sudore. Niente da fare. Gonzalez è stato il pugile più forte in assoluto mai incontrato, anche se nella seconda parte è stato lui ad incrociare gli occhi più di una volta, sull’orlo del ko. Bravo a resistere, ma dopo il match aveva la faccia gonfia come un melone, io neppure un segno. Comunque ho sofferto, contro Chavez avevo semplicemente perduto. Adesso stacco, vado in vacanza per tre mesi. Poi ne riparleremo”.
Parisi difenderà la corona altre quattro volte (Rey Revilla, Harold Miller, Nigel Benton e Josè Manuel Berdonce), ma quando ritrova Carlos Gonzalez il magico filo si spezza.
Sul ring di Pesaro la superiorità del messicano non ammette speranze. Alla nona ripresa Parisi abbandona. Nello spogliatoio la sua disamina è lucide e spietata: “Non respiravo più dal 5° round, ma non cerco scuse. Ho preso troppi pugni, un brutto segnale. Ho famiglia e un figlio, è il caso di smettere. Fino al quinto round era andato tutto bene, perfino troppo, poi al sesto round ho beccato un pugno al naso che mi ha tolto il fiato. Volevo smettere subito, mica potevo fare altre sei riprese senza respirare. Ci ho provato per non deludere l’angolo, che tanto aveva lavorato con me e per me. Ma al nono ho capito che era inutile proseguire- Questa è la vita del ring. Ma resta ancora molto da dire anche fuori”.
Nel 2000 prova nei welter WBO, contro un altro portoricano Daniel Santos, troppo forte, troppo giovane, troppo pesante e troppo tutto. Fermo praticamente due stagioni, il tentativo si svolge a Reggio Calabria e dura quattro round.
A bordo ring Luigi Garlando firma di punta della “rosea” prestato dal calcio alla boxe, fotografa molto bene la situazione con un fondo indovinato, dove dice: “In fondo è stato come un viaggio nella memoria. Ripetendo le stesse scene del passato. Tutto come quando era il padrone del mondo. Valentino Rossi, ha impiegato mesi di prove e scivoloni sull’asfalto per domare una categoria superiore. Parisi si è illuso di farlo in una notte. Il ballo sul Titanic dura 4 round”. Concludendo: “…Dal suo guscio rotto di campione dovrà uscire uomo normale e salire su un ring dove il ghiaccio è uguale per tutti. Auguri, Giovanni. E alza la guardia, stavolta”.
Il resto fa parte di un gioco delle parti dove la storia è composta da effettivi flash dei ricordi. L’ultimo incontro quello col francese Frederic Klose nell’ottobre 2006, per l’europeo welter, in apparenza era un azzardo inutile, troppo fuori tempo. Invece è risultato di grande importanza, e la risposta è nella lettera al figlio Carlos, un testamento di assoluto valore etico di padre.
Giovanni anche fuori dal ring, non era uomo da pantofole facili.
Va a trovare i detenuti di San Vittore, dove offre e trova una solidarietà incredibile. Qualcuno gli chiede a chi si è ispirato: “Ognuno deve provare ad essere se stesso. Ho cercato di imparare da tanti, a cominciare dal messicano Sanchez, ma se vi dico che ha chiamato i miei cani Marvin, Hagler e Marvellous capirete bene per chi mi sono emozionato”. Su Alì: “Un uomo straordinario, prima ha combattuto contro le ingiustizie del suo Paese, poi ha offerto la sua sofferenza come segno della volontà di vivere malgrado tutto”. La psicologa del carcere chiede: Quando è ora di smettere? “Quando suona la sveglia al mattino e non hai più voglia di alzarti”.
Arrivano i quarant’anni e Riccardo Crivelli va a trovarlo, per farsi spiegare i tanti capitoli di una vita non certo banale.
Quarant’anni, un bel traguardo, se li aspettava così?
“Grazie alla boxe ho scoperto emozioni e valori, ho sofferto e gioito, soprattutto sono diventato uomo, cercando di essere sempre onesto con me stesso senza tradire i miei principi”.
Coltiva rimpianti?
“I rimpianti sono l’ammissione di aver sbagliato qualcosa. Rifarei tutto, dai sacrifici per entrare nel peso a Seul, fino all’ultimo tentativo europeo. Con la saggezza dell’età, proverei a cambiare i termini del contratto con Don King e mi gestirei meglio dal punto di vista atletico”.
In che senso?
“Oggi la vita agonistica di un atleta si è allungata molto. Quando iniziai pensavo di chiudere a trent’anni”.
Ma così ha potuto godersi una splendida famiglia.
“Mia moglie e i miei figli sono la parte più meravigliosa della mia vita, ma devo ringraziare il pugilato: mi ha dato i valori per cercare di essere un buon padre”.
Cosa fa Parisi quarantenne?
“L’amico Andrea Locatelli mi ha coinvolto nell’organizzazione dei mondiali di Milano 2009. Stiamo lavorando perché diventino una vetrina importante. E poi vorrei ampliare l’impegno, occupandomi dei giovani che si avvicinano alla boxe”.
Come saranno i prossimi quarant’anni?
“Senza boxe attiva, ma impegnati e ricchi di soddisfazioni come i primi”.
Chiudiamo questo percorso che si è esaurito troppo presto, ma continua nel suo ricordo, con una considerazione che esprime e conferma la grande umanità, il senso dell’amicizia che non ha mai tradito.
“Le idee politiche mi appassionano sempre, ma adesso le seguo più sfumate. Sono sempre gli stessi che dopo l’oro di Seul mi promisero una palestra nuova, mai vista. Per fortuna ci sono gli amici, quelli della scopa d’assi al bar di Medassino, loro non tradiscono mai”.
Loro e i ragazzi della palestra, ai quali ha riservato l’ultimo saluto: “Ci vediamo domani e l’ultimo spenga la luce”.