Bolognesi oro olimpico dei leggeri nel 1952 a Helsinki, si racconta
{joomplu:1078 left}Da sempre, l’oro olimpico rappresenta la conquista più importante per un atleta. Nel pugilato l’Italia ha raccolto 15 trionfi. Il primo, meglio le prime tre medaglie nel 1928, con Vittorio Tamagnini, Carlo Orlandi e Pietro Toscani, seguirono Ulderigo Sergo nel ’36, Ernesto Formenti a Londra nel ’48 e Aureliano Bolognesi nel ’52.
Otto anni dopo nel ’60, altra tripletta a Roma, con Francesco Musso, Nino Benvenuti e Franco De Piccoli, nel ’64 a Tokyo doppietta con Fernando Atzori e Cosimo Pinto. Silenzio fino al 1980, allorchè sul ring di Mosca, salì sul podio più alto Patrizio Oliva, nell’84 tocca a Maurizio Stecca e nell’88 il trionfo di Giovanni Parisi, scomparso immaturamente lo scorso mese, in un incidente d’auto. L’ultimo oro a Pechino, la scorsa stagione con Roberto Cammarelle nei supermassimi. I vincitori precedenti al ’52 non ci sono più. Restano nove campioni, il più longevo dei quali è Aureliano Bolognesi che porta con grande leggerezza e lucidità 78 primavere.
{joomplu:1079 left}Il pugile compì l’impresa ad Helsinki nel 1952, seconda edizioni dei Giochi, dopo il lungo silenzio dal ’36 al ’47, anni che sconvolsero l’Europa. La prima del dopoguerra si svolse a Londra nel ’48 e l’Italia salì sul podio più alto grazie al piuma Ernesto Formenti, un brianzolo dalla tecnica sopraffina, che non ebbe altrettanta fortuna nei professionisti. Bolognesi, nato a Sestri Ponente il 15 novembre 1930, si era formato alla noble art nella palestra di Cornigliano, cittadina alla periferia Ovest di Genova.
Incuneata tra Sampierdarena e Sestri, lungo un agglomerato di costruzioni che si affacciano sulla via Aurelia, Cornigliano è sempre stata un’entità sul mare, priva di spiaggia. Il litorale verso gli anni ’50 venne “acquisito” dai cantieri navali, dall’Ansaldo meccanico-nucleare e dalle acciaierie dell’Italsider. Le case sono state per decenni annerite dal fumo delle ciminiere che appestavano l’aria. Oggi dei cantieri restano testimonianze sbiadite, scafi mai verniciati. Delle acciaierie si ergono gli scheletri di una produzione ormai spenta.
Aureliano rammenta lucidamente quei tempi, considerato che ha sempre vissuto a Cornigliano. “Fino ai 14 anni ho fatto il chierichetto nella parrocchia di S. Giacomo. La fede è sempre stata la compagna fedele di ogni mio momento. Ancora oggi mi aiuta a mantenere serenità e a superare le avversità. Prima di ogni incontro, inginocchiato, rivolgevo una preghiera a Gesù, affinchè mi proteggesse”.
Bolognesi si era presentato al maestro Speranza – una specie di Geppino Silvestri ligure, per la facilità di scoprire talenti – nel 1946 a 16 anni. Lineamenti delicati, accompagnato dal padre, voleva imparare la boxe. Il maestro capì che quel ragazzino possedeva stoffa di alta qualità e pure personalità. Gli fece fare esperienza senza esagerare, perfezionandolo nella tecnica. Longilineo ben proporzionato, dimostrava colpo d’occhio e velocità di braccia. Una boxe in punta di fioretto, che doveva diventare consistente col tempo. Quando nel 1951, Speranza lo accompagnò per la prima volta agli assoluti, fissati a Bologna ai primi di marzo, non rientrava certo tra i favoriti, anche se gli addetti ai lavori più attenti, quando seppero che ai campionati liguri si era imposto a Savio e Tripodi, due lottatori più esperti e poco inclini a dare spazio ai giovani, lo tennero d’occhio.
{joomplu:1080 left}Infatti, fu lui a conquistare il tricolore nei leggeri. Battendo il sardo Mattuzzi, il romano Profeta e in finale il fortissimo piemontese Maffeo che prediligeva la corsa distanza. Non fu una vittoria facile, ma alla fine la migliore scherma di Bolognesi ebbe la meglio.
Di quel match, il protagonista ricorda un particolare: “Alle premiazioni mi fece i complimenti Tiberio Mitri, che era l’ospite d’onore. Non solo, scherzò sull’occhio nero, che mi ero procurato contro Maffeo. Non seppi cosa rispondere, arrossii e gli strinsi la mano”.
Natalino Rea, il responsabile della nazionale, non lo chiamò subito. Attese fino a settembre, per una prima convocazione a Portorecanati. “Tornai a casa felice di quell’esperienza. Rea mi assicurò che sarei stato richiamato presto. Fu di parola, a dicembre debuttai con la nazionale a Perugia, contro la Germania. Battei un certo Grabazar che era il campione tedesco”.
Quel battesimo diventò la rampa di lancio verso la titolarità nella categoria dei 60 kg. Natalino Rea stava cercando il sostituto nei leggeri, ruolo fino a qualche mese prima coperto ottimamente da Bruno Visintin, talento spezzino dalla boxe lineare e precisa. Nel 1950 non ancora diciottenne, Bruno si era imposto agli assoluti di Parma nel 1950, ma l’anno dopo non prese parte ai campionati, impossibilitato a restare nei 60 kg. Infatti nel ’52 a Trieste tornò campione da superleggero. Mentre Aureliano bissava il titolo, con vittorie importanti. “Prima dei campionati andai a La Spezia e battei proprio Visintin. Agli assoluti incrociai il romano Di Iasio in semifinale che aveva anche un largo seguito di tifosi. Vinsi e lo feci anche contare. In finale trovai Vecchiatto che già ruotava in nazionale e si era fatto avanti alla maniera forte. Contro di me ci provò, ma lo anticipai col sinistro a stantuffo e qualche destro pesante. Vinsi il titolo e Rea mi disse che avrebbe puntato su di me per le Olimpiadi. Lui ci credeva, ma i politici romani avevano altri progetti”.
Quali?
“Quando vennero fatte le selezioni all’Impruneta in Toscana, non trovarono di meglio, visto che avevo battuto tutti i pari peso, di proporre il romano Rosini. Ero così arrabbiato che alla seconda ripresa l’arbitro fermò il match, dopo che l’avversario era finito tre volte al tappeto”.
Ad Helsinki la squadra azzurra si presentò con Pozzali nei mosca, il gallo Dall’Osso, Caprari nei piuma, il leggero Bolognesi, il superleggero Visintin, il welter Vescovi, il welter pesante Guido Mazzinghi, il medio Sentimenti, il mediomassimo Alfonsetti e il massimo Di Segni, preferito a Cavicchi che pure aveva battuto il romano agli assoluti, oltre essersi difeso bene contro Sanders a maggio nella sfida contro gli USA a Roma.
Le punte italiane erano, il cremonese Pozzali, l’emiliano Dell’Osso, il romano Di Segni e lo spezzino Visintin che nel ‘51 a Milano, avevano conquistato l’oro europeo. Rea contava molto sul civitavecchiese Caprari. Al dunque l’unico a centrare l’oro fu Aureliano Bolognesi, che pure aveva iniziato piuttosto male.
{joomplu:1081 left}“Al primo incontro trovo l’americano Bickle considerato uno dei più forti. Infatti la prima conoscenza non fu entusiasmante. Nel round iniziale, sbaglio il tempo del sinistro e quello mi spara il destro alla mascella. Finisco al tappeto, un momento terribile, ma anche la voglia di non arrendermi. Infatti recupero e vinco. Poi batto l’ungherese Juhasz che aveva disputato 200 incontri, il triplo dei miei. In semifinale trovo il finlandese Pazkanen, beniamino di casa. Lo domino nettamente. In finale dovrò affrontare Antkiewicz e Natalino Rea mi fa un discorsetto preciso: “Guarda che non basta vincere. La Polonia ha dirigenti ammanicati con i giudici e in caso di equilibrio la preferenza va a loro. Devi importi nettamente”.
Ricordi la finale?
“Non fu una vittoria facile, sentivo l’emozione di lottare per l’oro olimpico. Vinsi la prima ripresa, ma persi la seconda. Il polacco mi aveva centrato con un colpo così forte che mi spostò la mascella. Un dolore boia. Ero stanco, teso e Rea nel minuto di riposo, prima del terzo round, tirò fuori ogni argomento: ‘rappresenti l’Italia, sei la nostra bandiera, non puoi perdere’”.
Bolognesi infatti vinse, gettando il cuore oltre l’ostacolo e il dolore. Negli ultimi secondi centrò col destro Antkiewicz, che rischiò di finire al tappeto. Due giudici su tre assegnarono la vittoria all’azzurro. Bolognesi era medaglia d’oro. L’unica per la boxe italiana. Caprari si fermò all’argento battuto dal cecoslovacco Zachara, dopo aver superato avversari fortissimi come il polacco Drogosz e il francese Ventaja. Visintin raggiunse il bronzo.
“Alle premiazioni, mentre saliva il tricolore e suonava l’inno italiano, sembravo la fontana di Trevi, tanto piangevo per la commozione. Quando tornai a casa venni festeggiato dagli amici, ma non più di tanto. Ricevetti il premio per la vittoria, mi sembra sulle 70.000 lire. Erano ancora tempi difficili e non esistevano privilegi speciali. Restai dilettante anche nel 1953, ma faticavo a restare nei leggeri. Mi presentai agli assoluti di Bologna, bocciato dalla bilancia. A quel punto passo tra i 63.5 kg. e disputo i mondiali militari a Monaco di Baviera. Inizio battendo il favorito, l’americano Campbell e poi il belga Eddy. Una vittoria netta, ma mi fratturo il destro e non posso disputare la finale. Una disdetta. Al rientro, dopo mesi di stop, combatto a Milano contro Giancarlo Garbelli. Vinco nettamente ma mi rifilano il pari tra i fischi del pubblico. Rea insiste perché resti dilettante. Mi garantisce la nazionale. Rispondo alla convocazione per affrontare il Belgio a Sanremo, batto Hoefler e porto a dodici le vittorie e un pari, su tredici incontri in azzurro.
Come fu il passagio nei pro?
“Aldo Spoldi, che era tornato in Italia dagli Usa e faceva il procuratore, insiste perché passi professionista. Convinto che farò strada. Compio il passo e nel marzo del ’54 debutto a Genova battendo Felice Ceriani per ko al 2° round. Mi trasferisco a Milano e vado ad allenarmi alla palestra “Ravasio” sotto il Vigorelli. Combatto con molta regolarità, la televisione riprende i miei incontri e sembra andare tutto bene. In nove mesi disputo 13 incontri con altrettante vittorie. Sto esagerando, anche se non me ne rendo conto. Nel frattempo Spoldi che è sempre in giro mi passa a Zambarbieri, che gli amici chiamano “Raffa”, un bel tipo. Inizio il ’55 in trasferta. Raffa mi combina una sfida a Stoccolma in Svezia. L’avversario si chiama Leo Lindberg, che domino per 6 riprese. Purtroppo viene fuori un pareggio che mi fa andare in bestia. Mi frena Raffa con una battuta: “Meglio questo che la sconfitta. Resti sempre imbattuto”. In verità parla in milanese e faccio sempre fatica a capirlo”.
Prosegue: “Rientro bene contro Ballabio, ma fatico a battere il francese Sarkissian. Ogni volta che tornavo all’angolo il manager si diceva soddisfatto, ‘Dai Teresina, continua così che quello non picchia’. Alla fine sbotto: allora devo stare attento all’arbitro, perché mi arrivano pugni da tutte le parti. Il mese dopo torno a combattere e finisco ko contro Ben Alì, poco più di un debuttante. A quel tempo non capivo che combattevo senza rispettare i tempi del recupero. Avevo 25 anni, mi sembrava tutto normale. Invece chiedevo troppo al mio fisico”.
{joomplu:1082 left}In effetti la parte conclusiva della carriera non è stata esaltante. Un pari con Ganadu, mestierante senza talento, anche se riscattato nella rivincita, poi la seconda sconfitta contro Mafaldo Rinaldi a Cremona, un segnale di pericolo.
“Infatti decisi di chiudere. Ero campione olimpico, avevo una dignità da onorare. Appesi i guantoni al chiodo senza rimpianti. Meglio, uno c’è stato. Se avessi dato retta a Natalino Rea che mi suggeriva di restare dilettante per portarmi a Melburne nel ’56, come superleggero, avrei potuto vincere un secondo oro a cinque cerchi. Pazienza. Mi sono messo a lavorare, ho iniziato ad insegnare ai giovani la boxe e mantenuto i rapporti con molti amici. Pensa che ricevo ancora richieste di foto e autografi dall’estero. In particolare dalla Germania”.
Sei stato in contatto con alcuni papi e molti cardinali.
“Non ho mai nascosto la mia profonda fede cattolica e quindi la corrispondenza con alti prelati. In particolare ho ricevuto la benedizione speciale nel ‘53 da Papa Pacelli, il cardinale Dionigi Tettamanzi mi manda gli auguri per le festività”.
Nel 1963 si unisce in matrimonio con Liana Sentinelli, che gli porta in dote un talento artistico non comune. Liana, quotata pittrice impressionista, suoi lavori sono esposti al Goethe Institute in Germania, alla Fondazione Keller a Monaco di Baviera, al Museo d’Arte Figurativa Contemporanea di Boston, al Museo di Lisbona e a Nizza. Tra i numerosi riconoscimenti la Targa d’Oro Giulio Andreotti, che annovera tra i suoi estimatori.
Col fotografo Fabio Bozzani che sta completando un lavoro di alta qualità, dedicato ai campioni che hanno conquistato il più alto podio olimpico, siamo andati a trovare i coniugi Bolognesi nella casa di Cornigliano, posta sulla parte collinare, lontano dal traffico convulso.
Foto dei trionfi di Aureliano si alternano con gli ultimi dipinti di Liana. Un vivace contrasto di colori che danno ulteriore luce al bianco delle pareti e dei mobili.
Come vive Aureliano Bolognesi, oggi?
“Dovrei fare il pensionato, viste le primavere che mi porto sulle spalle. In verità trovo ancora il tempo e il piacere di mettermi a disposizione per iniziative a sfondo umanitario. E’ sempre stato il mio pallino. Ho donato la medaglia d’oro di Helsinki al Centro Tumori di Genova, ho portato la maglia azzurra ad un Santuario sulle alture genovesi”.
Col pugilato mantieni rapporti?
“Sono ancora il maestro alla Celano Boxe, ma negli ultimi tempi, frequento poco la palestra. Sto diventando pigro. Seguo lo sport in televisione. Tifo per l’Inter, un lascito del lungo soggiorno a Milano quando ero professionista. Mi hanno entusiasmato le imprese di Cammarelle e Russo, ma trovo molto bravo anche Valentino, che qualche giornalista ha indicato come l’erede di Bolognesi. Spero arrivi a emularmi”.
I tuoi idoli di sempre?
“Clay su tutti, ma anche Loi e Visintin, con cui ho mantenuto sempre i contatti. Sono rimasto addolorato per la scomparsa di Duilio. Un grande campione, per me il più grande degli italiani. Un brutto colpo anche la morte di Mino Bozzano. Qualche anno addietro ero stato a trovarlo, conduceva con la moglie svedese un bel ristorante. Poi quel vile agguato da parte di giovinastri”.
Conoscevi Giovanni Parisi?
“Ci siamo incontrati in occasione di una premiazione dei campioni olimpici diversi anni fa. L’ho visto spesso combattere in televisione. Era davvero un grande. Una fine davvero imprevista. So che amava la velocità in auto. Purtroppo il destino, come nel caso di Giovanni, è stato davvero crudele. Vorrei fare una domanda. Ho letto che a settembre ci saranno i mondiali dilettanti a Milano. Gli organizzatori hanno in mente qualcosa per i campioni in maglietta del passato ancora in vita? Magari un invito a seguire l’evento diciamo per le semifinali e finali. Da buon genovese la butto sul tavolo. Se qualcuno raccoglie tanto meglio”.
Per un signore che si avvicina alle 80 primavere, questo Bolognesi lascia intendere di avere ancora molte frecce nella feretra dei compleanni.
Auguri Aureliano.
(Le foto attuali di Bolognesi sono ad opera di Fabio Bozzani)